La socializzazione dei cuccioli

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Cosa si intende per socializzazione?

quadrato6La parola “socializzazione” viene spesso abusata in riferimento agli animali domestici, ritenendola un sinonimo di “fare amicizia”, “diventare amici”, “conoscersi occasionalmente”.
In realtà, quello della socializzazione è un periodo peculiare fra i tanti che caratterizzano l’educazione del gattino durante la quale, sulla base di determinati vincoli imposti dall’appartenenza alla propria specie (un gatto non diventerà mai un cane anche se cresce con un cane..), il gattino costruisce la propria identità di soggetto attraverso una serie di apprendimenti che influenzeranno e caratterizzeranno tutta la sua vita. La socializzazione è un periodo complesso, non ripetibile e profondamente strutturante della personalità, attraverso il quale il cucciolo impara a mettersi in relazione con il mondo, sia sul piano sociale che sul piano ambientale.
Il periodo di socializzazione si esprime all’interno di una finestra temporale molto specifica, la quale si estende dalle 2-3 settimane di vita del gattino e termina tra le 9 e le 12 settimane (a volte anche prima!), con grande variabilità a seconda dei soggetti e degli enti interessati.
Da un punto di vista sociale, durante il periodo di socializzazione il gattino, attraverso il contatto con la madre, con i fratelli ed – eventualmente – altri gatti conviventi, impara a “fare il gatto”, ossia impara come dare espressione ai propri interessi (es. cosa, quando, come, perche’ cacciare), ai propri desideri, come muoversi nell’ambiente in relazione agli altri e in considerazione delle proprie caratteristiche di specie, come comunicare, come evitare i conflitti, in altre parole… come essere un gatto. Queste competenze riguardano anche l’interazione con altre specie con cui il gattino sviluppa delle relazioni in questo periodo: esseri umani, cani, pappagalli, topini, barbagianni, tutti gli individui con cui il micetto dialoghi in maniera amichevole e gioiosa gli permettono di crearsi un’idea delle specie con cui, anche da adulto, potrà potenzialmente intrattenere dei rapporti sociali basati sulla familiarità e la condivisione non conflittuale degli spazi. Al contrario, tutte le specie (inclusa la propria!) con cui il gattino non si relazionerà durante questa importante e irripetibile fase dello sviluppo neurobiologico, oltre che muscolo-scheletrico, in futuro potrebbero essere interpretate come ansiogene, se non addirittura terrifiche e, dunque, da evitare.
Facciamo un esempio: un gattino che, a partire dalla seconda settimana di vita, rinnova quotidianamente delle esperienze piacevoli con l’essere umano basate sul gioco, sull’accudimento e sulla gentilezza, tenderà a sviluppare – a meno di traumi successivi! – un carattere socievole e disponibile all’interazione con l’uomo. Questa socievolezza sarà tanto più accentuata, quanto più varie saranno le persone incontrate e la diversità di esperienze convidise con loro: uomini, donne, bambini, anziani, ecc., ogni tipologia è destinata ad entrare nella categoria “essere umano=piacere” se l’esperienza è piacevole, ovvero se evoca emozioni positive e benessere o “essere umano=dispiacere” se l’esperienza evoca emozioni come il disagio, la rabbia, la paura. Allo stesso modo, un gattino che non è mai entrato in relazione, per esempio, con un cane o con un bambino, non avendo avuto la possibilità di catalogare la tipologia di ente come “potenzialmente amichevole”, già ad un anno potrebbe manifestare molte resistenze ad interagire senza esprimere atteggiamenti di paura, di terrore e/o di fuga.
Questo processo di familiarizzazione avviene anche a livello ambientale, con una sorta di catalogazione, da parte del gattino, di tutti gli enti del contesto in cui vive come familiari, “ordinari”. Un gattino che in questo periodo della sua vita abbia la possibilità di conoscere positivamente una grande varietà di oggetti, ambienti e situazioni diverse (il rumore degli elettrodomestici casalinghi, il vento che scompiglia il mantello, l’umidità dell’erba che bagna i polpastrelli, il ventilatore che ruota sul soffitto, una porta che sbatte improvvisa, un tavolo che scricchiola al trascinamento, ospiti che entrano/escono, ridono, fanno baccano, come scalare un albero, quale superficie graffiare, un sapore da evitare, il fuoco che scoppietta) acquisisce tante conoscenze, si crea un’immagine di grande variabilità e complessità del mondo, imparando a relazionarvisi in maniera flessibile e contingente.

L’importanza della socializzazione

Socializzare i cuccioli, sia da un punto di vista sociale che da un punto di vista ambientale, è importante per gettare le basi di un carattere adattabile. La conoscenza rende liberi e, se ci pensate, questo si applica benissimo ai gatti ma anche agli esseri umani: più cose del mondo il gatto conosce, più ne fa esperienza, più coltiva conoscenze in riferimento al contesto sociale e ambientale in cui vive – compatibilmente con le sue caratteristiche di specie che fissano limiti e peculiarità! -, più avrà la possibilità di interpretare eventuali cambiamenti e di adattarvisi superando i momenti di stress e di ansia dovuti al timore per l’ignoto.
Meglio conosco il contesto in cui vivo, più sono in grado di capire le dinamiche che si creano, a fare previsioni, a prendere decisioni giuste, a gestire le inevitabili difficoltà, in altre parole ad adattarmi.
Il punto cruciale, tuttavia, è che “conoscere” non significa semplicemente essere sottoposti passivamente a degli stimoli, quanto piuttosto fare esperienza. C’è differenza nella conoscenza del mare, tra l’ammirarlo dal bagnasciuga e farsi una nuotata prendendo il largo.
Un gattino che per 2-3 mesi non è mai uscito dalla stanza in cui è nato perché l’allevatore ha ritenuto di “proteggerlo” in questo modo da contagi virali e/o batterici, sarà un gattino fortemente deprivato dal punto di vista delle esperienze e sarà spaventato da qualunque novità gli si presenterà al di là della soglia della stanza. Rischierà, dunque, di essere il classico micetto che, portato a casa, si nasconderà sotto un mobile per giorni uscendo solo di notte oppure che scapperà alla vista di un qualunque estraneo non rientri nel suo ristretto nucleo familiare o che, addirittura, avrà delle reazioni di paura e di fuga improvvisi al minimo cambiamento ambientale perché il suo spettro di cose note sarà ristrettissimo a causa delle scarse esperienze vissute.
Il problema, tuttavia, non è solo relativo al momento dell’adozione. Come ho detto in precedenza, quello della socializzazione è un periodo irripetibile e il tempo che viene perso nelle primissime settimane di vita del gattino, le esperienze che non fa, che fa troppo presto, che fa troppo tardi, o che gli vengono negate, le conoscenze che non acquisisce, saranno molto difficili – se non impossibili – da recuperare in futuro perché irrecuperabile è il contemporaneo tipo di neuro-genesi che sottende spedito nelle prime settimane di vita. Un gatto non ben socializzato con gli esseri umani, farà molta fatica ad accettare serenamente la condizione di “gatto di casa”, al di là di qualunque amorevole cura; con il tempo e con i proprietari adatti, potrà forse imparare a fidarsi delle persone di famiglia ma gli esseri umani in generale, e la stretta convivenza con essi, sarà sempre fonte di ansia e di stress.
Il danno che ne consegue, dunque, è che un gattino poco o male socializzato è fortemente a rischio di diventare un adulto ansiogeno, stabilmente in allerta, un soggetto cronicamente stressato. E, ahimé, lo stress è uno dei nemici numero uno (forse IL numero uno) della salute psico-fisica del gatto domestico.
Personalmente ritengo che nessun futuro proprietario dovrebbe portare a casa da un allevamento un gattino che presenti una socializzazione deficitaria manifestata da comportamenti di fuga o di paura del nuovo: è assolutamente importante che il “mercato” (per quanto mi atterrisca l’espressione) metta gli allevatori di fronte alle loro responsabilità di cedere solo cuccioli equilibrati e socievoli. Non tanto perché “equilibrato e socievole” significhi “affettuoso e di compagnia”, quanto piuttosto perché questo significa avere dato al gattino delle ampie basi di conoscenza del mondo che sono il presupposto principale per la costruzione di un carattere aperto e fiducioso, requisiti fondamentali per una convivenza accanto all’essere umano piacevole e sana in primo luogo per il gatto ma anche per il proprietario.

Una buona base di partenza… ma instabile

Un ultimo concetto che mi preme sottolineare, tuttavia, è che il merito della socializzazione non è come un diamante, non è “per sempre”. Un gattino molto ben socializzato e aperto diventerà un adulto flessibile ed adattabile solo se la vita che il proprietario gli farà fare continuerà a garantirgli una ricchezza esperienziale e stimolativa tale da poter continuare a far crescere l’ottima base di partenza di cui è stato dotato nei primi mesi. Al contrario, così come un muscolo che perde tono a causa della mancanza di esercizio fisico, un gattino molto ben socializzato inserito in un contesto povero, monotono e deprivante è destinato a perdere nel tempo le potenzialità cognitive e caratteriali che pure erano state inizialmente sollecitate, il che a volte si traduce in un profilo ansioso prima ed in un invecchiamento precoce, con l’avanzare degli anni.
È responsabilità, dunque, dell’allevatore garantire le basi per la costruzione di un carattere aperto e fiducioso attraverso la ricchezza esperenziale durante il periodo della socializzazione ma è responsabilità del proprietario proseguire l’impegno coltivandole e valorizzandole lungo tutto l’arco della vita del gatto.
C’è un filo rosso che unisce questi due tipi di responsabilità: le opportunità di fare esperienze e i tipi di esperienze devono essere compatibili e coerenti con le caratteristiche e i bisogni di specie, devono cioè permettere al gatto di esprimere tutto il suo repertorio comportamentale, sia quello innato che quello appreso, in libertà ed interezza espressiva e questo, se si vuole essere coerenti, è un principio mai emendabile.

Articolo scritto da Sonia Campa per l’Associazione Skogkatt Italia, Club di Razza per il Norvegese delle Foreste.
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